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Nato a Città di Castello nel 1915, si laurea in Medicina a Perugia nel 1940. Nel Marzo del 1943 viene assegnato alla 10ª legione in Africa settentrionale e, due mesi dopo, a Maggio, viene catturato in Tunisia dagli Inglesi e poi, passato agli Americani, internato in un campo di prigionia  in Texas. Fu durante la prigionia che iniziò a dedicarsi alla pittura e all’arte.
Alberto Burri per quasi cinquant’anni ha lavorato con molti materiali ed ha inventato nuovi modi di realizzare opere pittoriche e sculture. E a differenza dei  suoi contemporanei non ha fatto un percorso di formazione convenzionale dal figurativo all’informale, ma ha iniziato subito a produrre opere astratte.

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Alberto Burri, in Africa, primo a sinistra -  Il campo di prigionia, in Texas, oggi.

La sua arte è segnata dal  dramma storico che ha vissuto sia in guerra, che in prigionia e nel Dopoguerra. Volontario in Etiopia, poi in Jugoslavia ed in Nord Africa, Burri lavora come medico militare prima e tra i prigionieri poi; ha dunque vissuto, come dottore, tutto il dramma dei feriti e dei prigionieri. Come artista ha un rapporto intenso e diretto con la produzione delle sue opere, interviene sui sacchi con tagli e cuciture come un chirurgo sulla materia viva: la sua esperienza professionale e personale ha di certo segnato questa manualità. Inizia a lavorare con materiali vissuti come le pezze di lino nei suoi “bianchi” o la juta nei suoi “sacchi”: li usa come una specie di pelle umana (tessuto che sutura sopra una base rossa come il sangue), quasi come a costruire dei corpi vivi. Resta comunque pittura con composizione di linee e colori secondo una armonia che cerca un senso ed una forma.

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“Burri trasmuta la spazzatura in una metafora della carne umana e sanguinante. Rivitalizza i materiali morti in cui lavora, li fa vivere e sanguinare; poi ricuce le ferite in modo evocativo e sensuale come le ha fatte. . . . È un artista con il bisturi, il chirurgo consapevole di ciò che sta dentro la carne delle sue composizioni e ne è commosso al punto da renderne sensibile anche l'osservatore.  . . . conosce e sente con intensa visualizzazione ciò che si trova all'interno della superficie carnosa delle sue composizioni , ed è un artista che è in grado di suggerirlo all'osservatore comprensivo”. 
James Johnson Sweeney, Burri, ed. L’Obelisco, Roma, 1955

Inoltre si sente deluso e tradito dagli avvenimenti storici, si rende conto che tutto ciò in cui aveva creduto, l'impegno, la guerra, la prigionia, è stato ridotto in cenere: così, gli resta solo la pittura come via di fuga. Negli anni Cinquanta, inizia a produrre opere con materiali primari, che danneggia o brucia con le combustioni, creando elaborazioni di suggestivo chiaroscuro.
In questo momento storico, si confronta con la ricostruzione dell’Italia, e crea un nuovo realismo materico, che applica sui materiali e le loro proprietà, elaborando così una pittura astratta che valorizza materialità, concretezza e forza espressiva. Molti dei materiali che brucia e rielabora sono quelli centrali per la lavorazione industriale di quel periodo, come i “legni” piani, gli imballaggi tipici dell’industria delle costruzioni o le “plastiche” che trasforma in elementi fantastici. E’ come se si passasse alla costruzione di corpi alieni, sono materie nuove, non vissute: l’elaborazione non è più suturare tessuti o azioni di bisturi, ma creazione di nuovi corpi. Fino alle plastiche trasparenti, in cui il corpo è diafano e ci si guarda attraverso, aprendo spazi di visione ed introspezione significativi.

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Con l’uso dei “catrami” e del “vinavil” passa ad altri prodotto industriali, che diventano materiali consistente con cui plasmare forme che emergono di per se stesse. Chi osserva un quadro di Alberto Burri entra in una atmosfera di emozione, e vuol comprendere e toccare l’opera che emana energia comunicativa.

Ho scelto di utilizzare materiali poveri per dimostrare che potrebbero essere ancora utili. La povertà di un medium non è un simbolo: è un dispositivo per dipingere”.

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Con la serie sui “ferri”, inoltre, Alberto Burri utilizza egualmente il fuoco, soprattutto attraverso le saldature. Anche questi materiali vengono delle fabbriche ed egli li elabora, tagliando e cucendo come faceva con i sacchi. Crea delle composizioni che non escono mai dalla cornice del quadro e che, ribadendo la relazione con la pittura, ne ridefinisce nuovamente la modalità.
Con i “gobbi” esplora una terza dimensione, ponendo un’armatura dietro la tela che forza la dimensione piana e la fa emergere, andando oltre la pittura e verso la scultura. Pur usando materiali diversi ai classici colori ad olio, Alberto Burri, si conferma a pieno  titolo un pittore.

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Oggi nella nostra ricezione dell’opera di Burri, non influisce l’immediatezza della guerra come per gli spettatori negli anni '50, ma possiamo apprezzare le sue opere poiché evocano una risposta viscerale e quindi emotiva attraverso il danno arrecato ai materiali.

“Burri non si proponeva né di distruggere la pittura né di provocare; invece ha espresso il trauma della storia recente, le sue esperienze personali e la condizione in rovina dell'Europa del dopoguerra lavorando con e attraverso i materiali in modo tale da presentare danni, riparazioni e vulnerabilità reali. Ha 'ferito' l'arte per sottolineare un'umanità fondamentale e la dignità nel salvare anche le cose più derelitte e trascurabili”.

Emily Braun, curatrice mostra “Alberto Burri: The Trauma of Painting”, 2015-2016, Guggenheim Museum, New York

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L’ultima serie di Burri contempla “cretti”, che rivelano un interesse per le pitture classiche danneggiate come la Madonna della Misericordia di Piero della Francesca e i “cellotex”, mostrando un suo dialogo con il minimalismo americano e un rapporto con il deserto che ha avuto modo di conoscere. Il cellotex è un materiale povero, anonimo, di uso industriale: particelle di segatura e colla pressate insieme. Burri vi interviene “spellandone” a tratti la superficie fino a mettere a nudo le fibre, di colore naturale simile alla iuta.
Sono supporti e superfici poveri. Ma di una povertà che prepara il campo, con calma, a veri inni di splendore: quadri, tra i pochi moderni, che non stonerebbero dietro ad un altare. È un’ascesi francescana quella di Burri, iniziata sui sacchi-saio e culminata sulla soglia di questi tabernacoli.
 

“Burri rende contenuti maestosi con mezzi addirittura trasandati, consunti, acidi … egli ha il sentore delle materie in disuso … elabora un’articolata, flessibile, lucida litania”

Emilio Villa, Burri - Nero e Oro, Museo Internazionale della Ceramica, Faenza, 1993

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“Non parlerà mai di cose ma di materia … quando  si guarda un Burri non si guarda un Morandi. Nel senso che Morandi guarda le bottiglie, Burri il vetro. Da medico, controlla la superficie, la pelle, i pori, il pelo, come un dermatologo dell’arte”

​Giulio Carlo Argan, Si crede Picasso: come distinguere un vero artista contemporaneo da uno che non lo è, Mondadori, 2010

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I cellotex rappresentano un apice di purezza per Burri perché, riducendo la composizione lo accompagnano verso quella semplificazione tecnica estrema cui anelava e verso il suo congedo dalla vita terrena.
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Grandissimo.

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