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"Una breve vacanza" di Vittorio De Sica, con Florinda Bolkan

Clara Mataro, calabrese, sposata al conterraneo Franco, madre di tre figli, lavorando come operaia in una fabbrica milanese, è costretta a mantenere stentatamente la suocera, il cognato e tutta la propria famiglia poiché il marito è momentaneamente invalido.

La salute di Clara, già fragile e vacilla insieme al suo morale. Si ammala di tubercolosi e stimolata dalle compagne di lavoro, si fa visitare. Il medico la invia per un periodo di cura in Valtellina, presso il sanatorio di Sondalo.

Durante il soggiorno la donna ha finalmente il tempo di pensare a se stessa, coltivare la lettura, farsi bella e innamorarsi di un giovane meccanico, anche lui ricoverato, dimenticando per un attimo la sua duplice condizione di sfruttata, sul lavoro e in famiglia.

Mentre la piacevole "vacanza" le restituisce salute e forze, l'esempio delle emancipate compagne e la storia d’amore, le conferiscono una nuova coscienza di sé e l'attirano verso l'avventura sentimentale.

Ma il dovere di madre è duro a morire. L’intervento dei familiari porta alle dimissioni dal luogo di cura e così, Clara, con molta tristezza viaggia verso casa: l'attende di nuovo la sua vita di duro lavoro e umiliazioni.

Vittorio De Sica nel 1973 dirige il suo penultimo film, con la sceneggiatura di Cesare Zavattini, e sembra voler tornare alla poetica neorealista, un onesto tentativo di rappresentare l'alienazione moderna. Un lavoro sul mondo operaio, nel quale descrive una Milano grigia, cupa, sofferente, alternandola ad un bianco candido del sanatorio. Le metafore non sono poche, il sanatorio rappresenta una sorta di purgatorio, dove le persone aspettano il verdetto del medico. Clara in tutto questo è una donna per la prima volta interessata a se stessa, libera da quella catena di montaggio che è la vita, come se quel bianco delle montagne abbia pulito la sua anima. E invece c'è anche chi non riesce ad uscire dalla propria disperazione, come ad esempio la bellissima interpretazione della signorina Scansiani, una malata terminale, nella sublime performance di  Adriana Asti che mescola tragedia ed eccentricità, e che le varrà il “nastro d’argento”.

In breve un film riuscito che esprime il disagio quotidiano passando per una speranza che gradualmente termina alla fermata del viaggio di ritorno in treno: De Sica riesce a parlare di sentimenti e di vita come pochi.

Nel cast i giovani Christian De Sica e Monica Guerritore.

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La visita medica di Castorp ne "La montagna incantata" di Thomas Mann

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Hans Castorp, giovane borghese in formazione, va a trovare il cugino ricoverato ma si ammala a sua volta di tisi e non si stacca per sette anni dal sanatorio svizzero di Davos, microcosmo sociale in sé completo, dove il giovane può intraprendere un’educazione sentimentale (grazie a una malata, Madame Chauchat) e intellettuale. Qui la malattia è ad un tempo, ambiguamente, degenerazione e rigenerazione.

Il Sanatorio Internazionale Berghof è abbastanza chiaramente un’allegoria della cultura europea con le sue contraddizioni, i suoi vizi, la sua decadenza, le sue malattie: c’è il borghese arrivista, il reazionario moralista, il voltairiano anticonformista ma non troppo; ci sono il materialismo, il romanticismo e la psicoanalisi nascente; ci sono infine pacifismo e militarismo alla vigilia della tragedia immane della I Guerra Mondiale. C’è tutto di un’epoca,  l’istantanea struggente del tramonto della Belle Époque e dell’avvento della modernità: rumorosa, sanguinaria, perversa, efficiente, frenetica, spietata.

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Ma c'è anche una magnifica descrizione dell'esame obiettivo toracico con cui l'esperto medico visita il paziente affetto da tisi: 12 minuti da ascoltare con fascino.

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Elogio alla sigaretta ne "La coscienza di Zeno" di Italo Svevo

 

Zeno parla del vizio del fumo, una dipendenza sviluppata fin da ragazzino e sempre combattuta senza successo. Zeno ricorda la sua prima sigaretta fumata da adolescente, inizialmente rubando i soldi al padre poi, dopo essere stato scoperto, fumando i suoi sigari avanzati. A vent’anni Zeno si accorge di odiare il fumo e si ammala, ma nonostante la malattia decide di fumare un’ultima sigaretta; ed è qui che si evidenzia per la prima volta la vera malattia psicoanalitica del protagonista. Inizialmente il fumo è per Zeno una reazione al rapporto con il padre - i cui rapporti saranno sviscerati nel capitolo "La morte di mio padre" - poi si allarga a forma di difesa verso la realtà circostante e il mondo intero. In tal senso, ogni tentativo di smettere di fumare non è che uno stimolo ulteriore al desiderio, tanto più se il complimento per la propria perseveranza viene da una figura come quella del padre: 

Mi colse un’inquietudine enorme. Pensai: "Giacché mi fa male non fumerò mai piú, ma prima voglio farlo per l’ultima volta". Accesi una sigaretta e mi sentii subito liberato dall’inquietudine [...] Finii tutta la sigaretta con l’accuratezza con cui si compie un voto. E, sempre soffrendo orribilmente, ne fumai molte altre durante la malattia. Mio padre andava e veniva col suo sigaro in bocca dicendomi: «Bravo! Ancora qualche giorno di astensione dal fumo e sei guarito!»

Bastava questa frase per farmi desiderare ch’egli se ne andasse presto, presto, per permettermi di correre alla mia sigaretta.

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"La fontana malata" di Aldo Palazzeschi

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Agli inizi del '900 la tubercolosi era una malattia così diffusa che faceva parte del quotidiano di tutti: ricchi, diseredati, uomini colti, operai, donne nobili e povere massaie, casalainghe, gente ignorante ed istruita. La tisi oltre ad argomento letterario diventa anche strumento artistico e metafora. Aldo Palazzeschi, autore delle “Sorelle Materassi” e grande esponente dell’avanguardia letteraria italiana del primo novecento, riflettendo sul ruolo del poeta e della poesia nel mondo contemporaneo gioca su una prosaica e concreta fontana, per di più “malata”; e così l’oggetto inanimato diventato antropomorfo aggiunge ulteriore ironia e potenzia l’effetto dell’immagine. Infatti, la fontana tossisce come farebbe un malato di tisi: l’acqua non scende in un flusso continuo, ma a “singhiozzi”, come da un rubinetto otturato. Il dettaglio realistico dell’otturazione idraulica si fonde con quello analogo del mal di petto.

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