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Camilo Josè Cela - "Padiglione di riposo" - 1943

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Camilo José Cela nacque nel 1916 a Padrón, in Spagna, e visse, parole sue,  "un’infanzia così felice che era difficile crescere”. Ancora liceale si ammalò di tubercolosi e, dal 1931 al 1932, fu ricoverato presso il sanatorio di Guadarrama, dove trascorse la convalescenza in interminabili sessioni di lettura.
Una volta guarito, si iscrisse alla Facoltà di Medicina della Università Complutense di Madrid, ma abbandonò tali studi quasi subito per assistere, in qualità di uditore, alle lezioni della Facoltà di Lettere e Filosofia. Frequentando i corsi di Letteratura contemporanea ebbe modo di mostrare i suoi primi poemi al docente, il poeta Pedro Salinas, che apprezzò talmente tanto i suoi scritti da indurlo a prendere la decisione definitiva di seguire la sua vocazione letteraria. Ebbe notevolissimo successo, fu consacrato come uno dei grandi scrittori del secolo e nel 1989 gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura con la seguente motivazione: “Per una prosa ricca ed intensa, che con pietà trattenuta forma una visione mutevole della vulnerabilità dell'uomo”.
Padiglione di riposo scritto nel 1943, definito “La montagnetta incantata” del grande scrittore spagnolo, è un romanzo breve ma avvincente, decisamente originale., nel quale l’autore ha voluto raccogliere un’esperienza personale che ha lasciato nella sua vita un segno indelebile e velenoso. Prendendo spunto da un'esperienza personale - il ricovero in un sanatorio - Cela tesse un'opera commovente e intensa, che egli stesso definisce quasi un poema in prosa e che per alcuni aspetti riecheggia - seppure con...un'impronta tutta iberica - la Montagna incantata di Thomas Mann. Nel padiglione in cui trascorre la degenza, un luogo che pare sospeso in una dimensione atemporale, s'intrecciano le storie dei più disparati personaggi, veicolate attraverso memorie e confessioni, racconti in prima e terza persona, lettere, diari, resoconti statistici.
Come figure di una vecchia ballata-girotondo i personaggi avanzano tenendosi per mano, in una silenziosa danza verso le tenebre. Uno dopo l'altro compaiono sulla scena prima come numeri (i numeri delle stanze che li ospitano nel sanatorio dove sono ricoverati con poche speranze di guarire), poi come storie senza futuro. E uno dopo l'altro abbandonano la scena, senza rabbia né strepiti né livore verso una morte alla quale si sentono di rimproverare soltanto il fatto d'essere venuta troppo presto.
Una galleria di figure, vividamente scolpite, appese a un filo di speranza o straziate da un'irrefutabile verità, che tuttavia arrivano ad accettare il proprio destino, a volte consolandosi nella rievocazione, a volte intrecciando fugaci amori, a volte ancora cambiando vita, con ravvedimenti improvvisi.
Il marinaio che riesce a finire i suoi giorni vicino all'amato mare; l'industriale che, prossimo alla dipartita, rinnega la giovane amante per riconciliarsi con la famiglia; il ragazzo viziato che non sa farsi una ragione,
la bella ragazza di città, il giovane poeta, la timida vergine.
Un'accorata indagine sulla rassegnazione di fronte alla morte, accolta, infine, come pacificazione, risoluzione estrema di ogni nodo, chiarificazione ultima dell'enigma del vivere. La malattia mette spesso gli uomini nella condizione di guardare la vita nuda, intera, e di comprenderla, arrivando a capire che, in fondo, anche la morte, lungi dall'esserne la fine, la negazione, ne fa parte di diritto.
Nonostante l'assunto possa prospettarsi cupo, Cela rende quest'opera straordinariamente vitale, dipingendo i caratteri dei vari degenti con un vigore tale da lasciarli incisi a fondo nel nostro animo.

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