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Siamo alla fine degli anni '60, in piena contestazione giovanile e operaia quando l'editore Corbaccio pubblica la ristampa di un romanzo del medico-scrittore francese Louis-Ferdinand Céline , "Viaggio al termine della notte" edito nel 1933.

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La scrittura céliniana è caotica, la  ritmica della narrazione incalzante, ricca di esercizi fonici, di slittamenti semantici, di paratassi, di puntini che non assumono soltanto il significato della sospensione descrive un affresco dell’umanità, quella della guerra, dell’industrializzazione, delle colonie, del lavoro industriale, dell’alienazione metropolitana, della miseria delle periferie, delle aridità delle coscienze. â€‹L’opera di Céline, rivoluzionaria nel suo contenuto, lo è ancora di più nella forma espressiva che sovverte ogni ordine e regola grammaticale e sintattica, un linguaggio anarchico che riflette quello colloquiale molto vicino all’argot. Forma e contenuto, dunque esprimono con chiarezza l’esigenza di ribellarsi agli schemi precostituiti degli eredi del Parnasse. Alla radice dell'opera c'è il rimpianto per un mondo non dominato dal progresso e dalla ragione, rimpianto per un mondo in in cui ci sia maggior bellezza, spontaneità e grazia, in cui il naturale e l’istintivo siano al di sopra di ogni sottomissione. Céline lo fa squartando la lingua razionale e chiara.

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In questo scenario si muove lo sconsolato e ironico medico Ferdinand Bardamu che, ferito durante la Prima guerra mondiale e in convalescenza a Parigi, conosce l’americana Lola; si ritrova in Africa; incorre in una serie di avventure sia tragiche sia buffe; raggiunge fortunosamente l’America e si arruola nel servizio immigrazione e nell’industria automobilistica; ritrova Lola, si fa prestare fraudolentemente del denaro e torna in Francia; apre uno studio medico in provincia, dove conoscerà una realtà macabra. Bardamu, dopo un tortuoso ma vitale percorso, iniziato nel buco nero della guerra sbocca al fondo, nel buco ancora più oscuro della morte.

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Céline fu uno scrittore emblematico per la singolarità delle sua esistenza e il carattere peculiare della sua letteratura che si situa al centro dei dibattiti socio-ideologici della sua epoca; scrivere è un modo per definirsi attraverso il rifiuto e la solitudine, è il desiderio di un io che rigetta la società e vuole esprimere la propria denuncia attraverso la letteratura.

Il pensiero di Céline si basa su un’osservazione critica e attenta della società in cui vive, osservazione che riesce a rendere attraverso una scrittura molto elaborata e personale. La sua critica va alla storia scritta dai potenti, nel tentativo di mettere in scena la tragedia della povertà e della sottomissione ai poteri invisibili, lasciando spazio a chi nella storia non ha nessuna autorità, buttando giù le false verità e la facile retorica.

Le atmosfere completamente cupe, quasi oniriche, in cui tutto si trova avvolto nel buio, nell’ombra, nell’odore di polvere, nel fragore continuo. Ciò che ritroviamo è quindi il coraggio di immergersi nelle fogne dell’umanità, di sguazzare tra i miserabili condannati alla sofferenza e inclini al peccato, il tutto reso da una narrazione piena di emozione, di fantastico, di atmosfere crude, di contenuti drammatici.

Il pensiero céliniano molto difficilmente potrà definirsi populista. Certo la sua attenzione alle condizioni sociali e mediche delle classi meno abbienti e all’ingiustizia del sistema, torna in innumerevoli casi e ogni volta con sfumature diverse, ma in lui il popolo non viene mai idealizzato.

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Il proletariato e la sinistra lottano per affermare i propri diritti e raggiungere il potere e si propone al grande pubblico un romanzo  scioccante per il linguaggio adottato e la visione della miseria umana. Non c'è paradiso, non c'è nessuna vittoria: il mondo céliniano è senza speranza, disincantato; andare altrove alla ricerca di verità o di benessere, allora, è solo un’illusione. La pesantezza, che egli riesce a rendere anche attraverso l’artificio stilistico, uniformizza il mondo rendendo impossibile ogni evasione. Un cambiamento sociale, nella visione cinica di Céline, non sarà mai possibile, tutto sembra avvolto da una piattezza e da un’immobilità che risultano antirivoluzionarie.

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Altrettanto feroce è la critica al capitalismo, nata dall' esperienza alla Ford di Detroit che assume un significato sostanzialmente diverso da come gli stessi argomenti vengono trattati negli scritti più propriamente igienici e in quelli che qualcuno, forse arditamente, chiama di medicina del lavoro. Nell’opera letteraria il lavoro standardizzato viene condannato, se ne rilevano gli eccessi e gli effetti perversi intollerabili, la disumanità che disumanizza, la passività e la subalternità in cui cadono e sono tenuti gli operai. In questo contesto sono inserite espressioni forti di condanna: «Il girone infernale del lavoro», «rimbambimento industriale», «atrocità materiale della fabbrica» e ciò anni prima che altri autori, da Sinclair a Chaplin, descrivessero o rappresentassero le stesse condizioni:

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«Quel che ci trovavano di buono da Ford, m’ha spiegato un vecchio russo in via di confidenze, è che si accettava qualunque persona e qualunque cosa ‘Solo, stai attento – m’ha aggiunto perché mi sapessi regolare - non bisogna far grane da lui, ché se pianti grane ti scaraventano alla porta in quattr’e quattr’otto, e sarai in quattr’e quattr’otto sostituito da una delle macchine meccaniche che hanno sempre a portata di mano e allora non ci hai più mezzo di rientrarci!’»

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«Non vi serviranno a nulla i vostri studi qui, ragazzo mio! Voi non siete venuto qui per pensare, ma per fare i gesti che vi si comanderà d’eseguire … Non abbiamo bisogno di immaginativi nell’officina. L’è di scimpanzè che abbiamo bisogno. Un consiglio ancora. Non parlate mai più della vostra intelligenza! Ci saranno altri che penseranno per voi! Tenetevelo per detto.»

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Anche i numerosi scritti medici del dott. Louis-Ferdinand Auguste Destouches (Céline è il nome d'arte, quello della madre) hanno una forte derivazione autobiografica, una biografia complessa, pericolosa, straripante. Precocemente viaggia, impara inglese e tedesco e si impiega in diverse ditte commerciali. Volontario nella Prima guerra mondiale, viene ferito  e soffrirà per tutta la vita d'insonnia e di angoscia. Dirige una piantagione di cacao in Camerun, quindi lavora in Francia per  una rivista di divulgazione scientifica. Si iscrive alla facoltà di medicina di Rennes e si laurea nel 1924 con una tesi “romanzata” su Semmelweis; quindi lavora in una campagna antitubercolare della Fondazione Rockfeller.

Fa per un periodo il ricercatore all’Institut Pasteur; dal 1924 al 1928 lavora per la Società delle nazioni, branca “salute”, e viaggia da Ginevra a Liverpool, in Africa, in Italia (a Roma incontra Mussolini in persona che gli parla delle sue campagne antimalariche), a Cuba, negli Stati Uniti e in Canada (dove guida una delegazione di medici sudamericani in visite, tra l’altro, alle fabbriche Ford e Westinghouse) e dopo di nuovo in Europa; in alcuni di questi spostamenti fa anche il medico di bordo. Alla fine del 1927 apre uno studio medico a Clichy dove, a eccezione di un periodo trascorso all’ospedale Laennec, svolge con poche gratificazioni la professione di medico di base e del  servizio municipale di igiene pubblica nei confronti di una clientela molto povera e disperata.

Ecco il Celine medico che esprime da vicino impressioni o concetti medici molto influenti nell’opera complessiva:

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«I malati non mancavano, ma non c’erano molti che potessero o volessero pagare. La medicina è una cosa ingrata. Quando ci si fa pagare dai ricchi s’ha l’aria d’essere un domestico, e dai poveri ci si diventa un ladro. ‘Onorari’! Quella è una parola! Non ne hanno già abbastanza per mangiare o per andare al cine, i malati, e volete ancora cavarci dei baiocchi per pagare gli ‘onorari’? Soprattutto proprio nel momento che tiran le cuoia. Non è comodo. Si lascia perdere. Si diventa cortesi. E s’è fottuti.» 

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«I miei clienti invece erano degli egoisti, dei poveri, dei materialisti concentrati nei loro progettacci di pensione, ottenuta con lo sputo sanguigno e positivo. Il resto era loro indifferente, persino le stagioni erano loro indifferenti. In fatto di stagioni sentivano e volevano conoscere solo quella che aveva un rapporto con la tosse e la malattia.»

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Viaggio al termine della notte, totalmente nuovo nel panorama europeo per il suo modo insieme realistico e visionario, fu considerato una vergogna per la letteratura. Eppure l’intatta freschezza di un «classico» che non finisce di stupire per la sua modernità si offre a noi nell'interezza della sua opera prima, seppure datato 1932.  Non è per nulla un libro da tenere sotto l'ombrellone oppure un libro da leggere "per stare bene", tutto l'opposto, direi però che è un libro da leggere per capire e arricchirsi umanamente.
E' un libro fondamentale anche per un altro aspetto: il suo autore è un autore su cui tutti hanno da dire qualcosa ma quasi nessuno (detrattori o meno) conosce la sua opera.

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