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Anton Cechov fu un apprezzato medico e scrittore russo. Nei suoi personaggi ha saputo sempre trasmettere le proprie conoscenze mediche. Non si può certo dire che non fosse tagliato per la Medicina. Appena laureato, Anton Cechov mette su uno studio dove cura gratuitamente i poveri.

Poi la sera dà sfogo alla sua grande passione: scrivere. È una penna così brillante che al direttore del giornale cui collabora, che lo esorta a dedicarsi interamente al giornalismo, risponde deciso: “Io sono un medico, e pratico la medicina. La medicina è la mia moglie legittima, la letteratura la mia amante ... E nessuno può togliermi dalla proverbiale tendenza di correre dietro a due lepri...”.

Cechov compie allora un viaggio nelle steppe del Don, e ne descrive le impressioni nel famoso libro 'La steppa', in cui riporta notizie inedite e di grande risonanza sulle precarie condizioni di vita e di salute dei condannati ai lavori forzati, notizie che scuotono profondamente le coscienze del tempo, con importanti e positive ricadute di ordine medico, politico e sociale.

Verrà così presto apprezzato, oltre che come medico, anche come scrittore dai grandi letterati del tempo, primi tra i quali Tolstoi e Gorki. Ma purtroppo, proprio durante questo viaggio nelle steppe del Don scopre di essere affetto da una malattia per la quale a quel tempo v’è assai poco da fare: la Tubercolosi polmonare.

Ma continuerà ugualmente a fare il medico, tentando invano di curarla con gli scarsi mezzi dell’epoca e qualche soggiorno sotto il sole italiano e della Costa Azzurra.

Nei suoi personaggi Cechov non manca mai di trasfondere le proprie conoscenze mediche e di evidenziare i difetti peculiari di alcuni colleghi: come Ceputikin, il medico de 'Le tre sorelle', che confessa di non aver più letto nulla dopo la laurea (“se non i giornali”); oppure  il medico de 'Lo zio Vania' abituato ad alzare il gomito, il quale dichiara: “Bevo...bevo...e quando bevo affronto le operazioni più difficili e le compio mirabilmente...”.

O come anche il medico de 'Il gabbiano', che cura i suoi pazienti, tutta gente di teatro e intellettuali, indistintamente solo con la valeriana. Ma i successi letterari e teatrali d Cechov non fermano la sua attività professionale.

Nel 1892 proprio quando le sue condizioni fisiche minate dalla tbc divengono più gravi, presta la sua preziosa opera di assistenza medica ai contadini di Melichovo, il villaggio dove si è ritirato durante una grave Epidemia di colera, pur disponendo di mezzi a dir poco risibili: “Per venticinque villaggi ho un solo clistere, non un termometro, e appena mezza libbra di acido fenico”.

Nel frattempo le sue condizioni fisiche peggiorano. La notte del 3 luglio 1904 la moglie gli mette una borsa di ghiaccio sul petto, ma lui, da buon medico, riesce a sentenziare: “Sul petto vuoto non si mette il ghiaccio!”.

Poi incarica uno studente presente di andare a prendere una bombola di Ossigeno; ma subito dopo aggiunge: “No, lascia stare, tanto morirò prima che tu sia tornato”. Aveva solo quarantaquattro anni.

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La corsia n.6 

La corsia n°6 è un racconto di Anton Čechov del 1892. Fu inizialmente pubblicato sulla rivista «Русская мысль» (Pensiero russo), numero 11, nel novembre 1892. Conobbe un successo considerevole. Un corrispondente di Cechov gli scrisse nel marzo del 1893 : "La vostra Corsia n. 6 è in tutte le vetrine, in quelle dei grandi editori come in quelle delle piccole librerie. Va a ruba".

Il reparto numero 6 è il luogo in cui vengono rinchiusi i pazienti psichiatrici della città, vengono maltrattati e considerati alla stregua di animali, a che pro, infatti, alleviare le loro sofferenze, se sono esse stesse a farci percepire la nostra umanità?

Andrej Efimjc è medico di un ospedale di provincia, dove nel reparto n.6 sono rinchiusi cinque malati, sorvegliati e picchiati dal guardiano. Ivan Dmitric soffre di mania di persecuzione, si distingue dagli altri per nobili origini ed è un filosofo: con lui il medico dialoga frequentemente fino a immedesimarsi nel suo interlocutore.

"Nel perimetro dell'ospedale sorge un piccolo padiglione circondato da un vero e proprio bosco di cardi, d'ortica e di canapa selvatica. Il tetto è tutto rugginoso, il comignolo è per metà crollato, gli scalini alla porta d'ingresso si sono imputriditi e ricoperti d'erba, e dell'intonaco non è rimasto che qualche traccia".

L'800 è stato un secolo d'oro per i romanzi, i migliori classici mai letti appartengono spesso a questo secolo, specialmente se scritti da autori di nazionalità russa. Reparto numero 6 (conosciuto anche come La corsia n. 6) è un ulteriore esempio della qualità dei racconti russi del periodo, finalizzati sia all'intrattenimento che all'approfondimento di temi importanti per l'attualità. In questo racconto l'autore denuncia il sistema sanitario russo, raccontando delle condizioni in cui versavano i pazienti psichiatrici.

E non è addirittura grottesco fantasticar di giustizia quando ogni sorta di violenza viene accolta dalla società come una necessità razionale e giustificabile, e ogni atto di misericordia, come ad esempio un verdetto d'assoluzione, provoca una vera e propria esplosione di sentimenti di scontento e di vendetta?

Tema importante che viene corredato da un'altra tematica ad esso correlata, anche se più teorica; ha senso impiegare tempo e risorse per azioni che avranno sempre e comunque risultati effimeri e non durevoli nel tempo? La risposta dello scrittore sarà ben chiara alla fine del racconto, e per quanto entrambe le posizioni (del no e del sì) siano ben argomentate ci è impossibile non parteggiare per quella che verrà scelta da Čechov. Per questi motivi si può asserire che l'elemento principale e più importante del racconto è assolutamente la sua utilità, perché certamente quando si legge si cercano svago e divertimento ma quando si è davanti ad un libro con tematiche sociali e anche filosofiche interessanti, come questo, si aggiunge alla nostra lettura quel valore aggiunto che rende il tempo impiegato ancora più piacevole, perché portatore di riflessioni e pensieri profondi.

Ma poi, a che scopo impedire agli uomini di morire, se la morte è la fine normale e legittima di ciascuno? Che guadagno sarà mai, se un qualche venditoruccio o impiegatuccio riuscirà a sopravvivere per cinque, dieci anni di più? Che se poi il fine della medicina si volesse ravvisare nel fatto che i medicamenti alleviano le sofferenze, vien naturale di chiedersi: e perché alleviarle?

La verità è, però, che personalmente amo così tanto la capacità di descrivere i personaggi degli autori russi e, quindi anche di Čechov, che avrei anche rinunciato alle tematiche descritte ma mai e poi mai al tratteggio che l'autore fa di tutti coloro che popolano il Reparto numero 6. Non c'è frase, o addirittura parola, che sia di troppo, tutto ciò che leggiamo su di loro è esattamente ciò che ci serviva per capirli e conoscerli meglio. Se l'autore avesse anche solo descritto ognuno di loro, senza inserire altri elementi, l'avrei comunque considerata un'opera degna di essere letta, proprio grazie alla sua grande capacità di descrivere gli esseri umani. Sono "matti", ma li capiamo come se fossero le persone più ragionevoli che conosciamo.

"Dal modo repentino con cui a tratti si ferma, e si fa a guardare i compagni, si indovina che ha in animo di dire qualcosa di grande importanza: ma poi riflettendo, evidentemente, che nessuno lo ascolterebbe, e lo intenderebbe, con un atto impaziente scrolla la testa e continua a sgambare".

La trama è, in realtà, piuttosto scarna; dando importanza alle tematiche di cui vi ho parlato e all'introspezione dei personaggi, di spazio per gli avvenimenti ce n'è poco, considerando anche la brevità del racconto. Io non l'ho ritenuto un aspetto negativo ed ho apprezzato la narrazione, strumento necessario per poter agglomerare tutte le altre componenti nel migliore dei modi. 

Lo stile di Čechov è ottimo, come sempre rimpiango la mia ignoranza in campo linguistico e, perciò, la mia incapacità a leggere questi capolavori in lingua originale. 

L'ambientazione ricopre un ruolo molto importante perché aiuta l'autore a descrivere le condizioni dei pazienti, l'ho trovata ben dosata ma adeguata allo scopo, trasporta il lettore passo passo, mostrandogli tutto come se fosse lì. È da un po' che ho finito il racconto, eppure il Reparto numero 6 è ancora perfettamente vivido nella mia mente.

"Se non avete timore delle scottature di ortica, inoltriamoci per lo stretto sentiero che conduce al padiglione, e guardiamo che cosa succede là dentro. Aperta la porta d'ingresso, entriamo nell'atrio".

L'atmosfera è resa perfettamente, anche trattandosi solamente di un racconto si entra talmente tanto nella storia da capire perfettamente ciò che provano i personaggi, facendoci sentire come loro. 

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