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Luigi Nobile

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Il 14 giugno 1942 la Roma battendo il Modena si consacra Campione d’Italia, la prima volta per una squadra del centro-sud.
Tra i romani, Luigi Nobile, la cui storia è una favola d’altri tempi, in un clima funesto come quello della seconda guerra mondiale.
Luigi, che è figlio di un maresciallo di stanza a Tursi in provincia di Matera, a differenza dei moderni calciatori, non è impegnato esclusivamente solo sul rettangolo di gioco ma anche negli studi tanto da conseguire la laurea in medicina.
La Roma lo scova in provincia di Matera e lo immette nei suoi ranghi, puntando con tutta evidenza ad una crescita tecnica che lo faccia diventare giocatore vero. Terzino non molto dotato dal punto di vista tecnico, è il classico spazzino che caratterizza il calcio del Metodo, con compiti di guardia alla propria area di rigore, senza partecipare al gioco.
Mister Schaffer, che porterà la Roma al primo titolo tricolore, lo fa giocare in alcune amichevoli notandone le buone doti calcistiche (in campo è talmente calmo e autoritario da essere definito “il commendatore”)  ma gli impegni legati alla professione medica gli precludono la continuità di prestazioni.
Del resto, non è certo un fenomeno, né dal punto di vista tecnico, né dal punto di vista fisico e il suo ruolo diventa ben presto quello di un onesto rincalzo, da poter utilizzare senza troppi scompensi in caso di defezione dei due terzini titolari molto forti come Andreoli e Brunella, vere e proprie colonne difensive che riducono al lumicino le sue possibilità di impiego.
Nobile, tuttavia, scende in campo nella gara contro il Torino, rilevatasi decisiva ai fini dello scudetto. La partita, che si rivela un vero e proprio assedio alla porta difesa da Bodoira nonostante sedici calci d’angolo e tre pali, finisce sullo 0-0. Su “Il Littoriale” così viene valutata la prova di Nobile:
«… Bodoira devia con una mano la palla sopra la traversa (punizione di Nobile) ….. ieri il calmo Nobile, che sostituiva il focoso Andreoli, a grado a grado, ha migliorato la sua prestazione sino a meritarsi la classifica di “buono”».

Il grande Fulvio Bernardini, romano e romanista doc, quando incontrò Luigi Nobile in occasione della festa dei 50 anni della Roma, lo abbracciò e gli disse «Luigi, hai visto? Tu sei diventato Campione d’Italia con la Roma e io no…».

La sospensione dei campionati di calcio per gli eventi bellici, lo induce al ritiro dall’attività agonistica, e nel corso del 1943, assegnato d’autorità al servizio sanitario interno, partecipa attivamente al soccorso e al salvataggio di molte vite umane durante il bombardamento di Roma.

Da questo momento scompare completamente dalle vicende calcistiche, uno dei tanti calciatori del periodo inghiottiti dal conflitto. Però, trasferitosi nell’estremo nord-Italia, dove rimarrà per tutta la vita con la sua famiglia,  esercita la professione medica fino a tardissima età, lasciando poi al figlio l’eredità di farsi onore nel campo medico. Sempre lontano dai riflettori ma vicinissimo ai suoi pazienti.

Riporto qui uno tralcio di un'intervista rilasciata da Nobile nel 1995.
 

D: “Come mai poi, a 21 anni, lei ha interrotto la sua carriera?”.

R: “Ero già medico, interno al Forlanini. Un mio professore che per me era un padre, mi disse: ‘Nobile, tu il medico lo potrai fare fino ad 80 anni, il ‘pallonaro’ (come diceva lui), lo fai fino a 34 anni’. Aveva ragione e allora scelsi di fare il medico. Alla fine della guerra avevo 26 anni, l’Italia era divisa in due …”.

 

D: “Nel 1940 scoppia la guerra”.

R: “Io avevo fatto la domanda per andare in Russia. Sennonché arrivò un provvedimento del ministero. Tutti gli studenti in medicina dovevano essere addetti al servizio sanitario. E difatti, durante i bombardamenti, quanta gente abbiamo salvato. Io ho anche salvato un amico mio dalle SS. Mi trovavo di servizio a Viale Giulio Cesare e avevo il tesserino internazionale. Io giravo senza armi, senza niente, perché facevo parte della crocerossa internazionale. C’erano anche le SS che facevano servizio qui. Fecero una retata e fra questi vidi che c’era anche un mio amico d’infanzia. Questo me voleva abbraccià. Gli dico: ‘Statte fermo, vattene al bagno e buttate per terra’. Ormai c’eravamo accattivati le simpatie del comandante della piazza. Vado da lui e c’era l’interprete. Gli dissi che c’era uno che c’aveva le convulsioni e che bisognava portarlo in ospedale. : ‘Ja, ja, ja’. Firma, ed è stato ricoverato in ospedale. Lì, poi, se l’è squagliata. L’importante era uscire da quella situazione … Ricordo, dopo, la mamma di questo mio amico. Gli dissi: ‘Non avrebbe fatto anche Elio quello che ho fatto io?’. Però se ce facevamo scoprì …la guerra è brutta …voi siete giovani”.

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