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Panurgo, mostrando la sposa, disse:
"Questa è garantito che non farà mai una scorreggia".
"E perchè?"
disse Pantagruele.
"Perchè è tagliata come si deve".
"Che storia mi racconti?" disse ancora Pantagruele.

E Panurgo:
"Signore, ponete mente alle castagne. Se le mettete ad arrostire intere stridono e peteggiano all'arrabbiata. E perchè non peteggino gli si apre una fessura nella buccia. Anche costei, benchè sposa novella, è bene aperta di sotto. Perciò non peteggia: perchè non può"

Nel 1524 Francois Rabelais lascia volontariamente l’ordine francescano dopo che i superiori gli sequestrano i suoi libri greci e latini considerati eretici da una sentenza della Sorbona. Nel 1528 si trasferisce a Parigi, con le sue strade di fango, taverne e bordelli, e stringe un legame illecito con una donna di cui nulla sappiamo salvo che gli da due figli Francois e Junie, legittimati qualche anno dopo. Nel 1530 è iscritto alla facoltà di Medicina di Montpellier e un mese dopo assiste alla prima lezione di anatomia.

Su Rabelais medico sono stati versati fiumi d’inchiostro. A quei tempi la medicina, non meno del pensiero umanistico, si trova in bilico tra il nuovo e l’antico. Molti passi delle opere  maggiori dimostrano che il sapere medico fornisce un punto di appoggio alla fantasia, che se non è materialistica in senso moderno, di sicuro è “corporale” fino a un limite mai toccato dalla letteratura prima d’allora. Questo risultato viene ottenuto dalla sistematica fusione del modo di dire popolare, dialettale, farsesco e del lessico scientifico dei trattati medici, con tutto il loro massiccio ricorso al greco e al latino.

In Rabelais il medico e l’astrologo, il romanziere e il cortigiano, si danno la mano in maniera totalmente originale e sorprendente: non sai mai con esattezza qual è la parte dell’erudito e quella dell’uomo che ha compreso, alla luce di una saggezza superiore, la follia che si nasconde dietro ogni orgoglio libresco, ogni tronfia pedanteria mascherata da sapere.

Per inciso, Francois Rabelais pubblica sì nel 1532 la prima edizione del “Pantagruel” ma anche le sue traduzioni latine di Ipopocrate e Galeno. Nel 1534 pubblica “Gargantua”.

L'assurdo parto di Gargantua

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"... i cotiledoni della matrice si allentarono in alto e il bambino ne approfittò per infilarsi d'un balzo nella vena cava; di qui arrancando verso il diaframma fin sopra alle spalle, ove codesta vena si biforca, prese il cammino a manca e se ne uscì per l'orecchia sinistra."

Da un orecchio di Gargamelle, sposa di Grangousier, nasce il gigante Gargantua, erede del regno di Utopia. Dopo una prima educazione all'insegna dei principi pedagogici medievali Gargantua, che nulla ha imparato, viene affidato al saggio Ponocrate che lo avvia a un'educazione armoniosa dello spirito e del corpo secondo i principi umanistici.

Viene mandato a studiare a Parigi, dove entra a dorso di un'enorme giu­menta che con la coda riesce ad abbattere una foresta e che egli adorna con le campane di Nôtre-Dame. Compie poi la sua prima impresa sconfiggendo il re Picrochole con l'aiuto del frate Jean des Entommeures. Come premio per la vittoria Gargantua dona al frate e ai sudditi l'abbazia di Thélème, dove uomini e donne vi­vono in armonia seguendo il precetto del "fai quel che vuoi".

Dal matrimonio di Gargantua con Badebec, che muore dopo il parto, nasce Pantagruel, come il padre gigantesco per dimensioni, smisurato nell'appetito, nelle funzioni fisiologiche e nelle azioni iperboliche. Anche Pantagruel viene inviato a Parigi a perfezionare l'educazione, dopo essere stato in tutte le più importanti università. A Parigi forma una compagnia di amici: aiutano, combattono, vincono i Dipsodi e i Giganti, riattaccano teste mozzate, ritornano in vita e descrivono l’inferno.

Poi navigano per vari paesi: la terra dei Chiquanous, il popolo che vive di litigi, l'isola dei Papefigues (protestanti) e dei Papimanes (cattolici), l’isola Sonante (per il clamore delle campane), abitata da Cardingalli e Vescogalli. Superano il regno di Quintessenza e finalmente giungono al paese di Lanternois e al tempio della "Divina Bottiglia". Il responso della sacerdotessa Bacbuc alle ansie è: "Bevi!", un invito a bere il vino, vero antidoto contro ogni dubbio, e a decidere da solo.

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