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"Lasciami sola" - L'altra Davos di  Marcelle Sauvageot - 1930

lasciami sola

Lei, è una giovane donna malata di tubercolosi che, sulla strada del sanatorio, riceve la lettera dell’uomo che ama e che aveva promesso di attendere il suo ritorno e la sua guarigione: le annuncia il proprio matrimonio, offrendole come compenso, in termini vaghi e imbarazzati, la propria amicizia. E cosa le risponde la protagonista ? Lasciami in pace !

Sfiancata dalla malattia, lacerata dal dolore di un amore bruscamente interrotto, la donna gli scrive una lunga lettera che non spedirà mai. Un grido di dolore in nome della stessa vita che la sta abbandonando, ma che lei persiste a volere esente da qualsiasi compromesso. Un grido intenso che rivendica a gran voce un amore forte e totalizzante. Pubblicato per la prima volta nel 1933, è l'unico romanzo scritto dall'autrice.

Marcelle Sauvageot, malata di tubercolosi, scrisse “Lasciami sola” nel 1930, a trent’anni, durante il suo ricovero nel sanatorio di Hauteville (Ain). Quindi lo chiuse in un cassetto. Il breve romanzo di 90 pagine venne stampato in seguito nel 1930. Lei sarebbe morta nel ’31 a Davos, il mitico sanatorio della “Montagna incantata” di Tomas Mann. In poche pagine riuscì a dimostrare l’autenticità della sua voce e della sua parola.

Nel dicembre del 1930 Marcelle è un'insegnante che ha frequentato gli ambienti surrealisti ed è ricoverata in sanatorio dove spera di guarire dalla tisi, contro la quale lotta da quattro anni. La aspetta però un dolore ben più lancinante di ogni pena fisica. È in margine a quest'esperienza estrema che nasce Lasciami sola, il cui titolo originale è Commentaire, allusione alla forma letteraria scarna e oggettiva adottata da Giulio Cesare.

"Quando non si conosce un dolore si ha più forza per fronteggiarlo, perché si ignora la sua portata: si vede solo la lotta e si spera che più avanti arrivi un momento migliore. Ma quando lo si conosce, viene voglia di alzare le mani per chiedere grazia ed esclamare, esausti e increduli: «ancora?»".

Eccola allora la protagonista, intenta a illuminare i lati più oscuri di sé e del suo modo di amare:.

“Felicità è essere travolti e non capire più niente” afferma e quindi “certo che voglio perdere la testa – scrive, – ma voglio cogliere il momento in cui la perdo, e spingere la conoscenza più lontano della coscienza che desiste. Bisogna essere presenti alla propria felicità.”

E poi il suo rifiuto a ogni forma di relazione con l’ex amante, senza acrimonia né patetismi inutili, ma al contrario con la fierezza di chi ha raggiunto una consapevolezza lucida:

“Dentro di me la tua immagine occupa tutto lo spazio; perché io non soffra più, bisogna che tu sparisca, che il tuo nome pronunciato al mio cospetto mi passi davanti come un soffio, senza nemmeno sfiorarmi.”

Scritto abilmente, in modo intelligente, prevaricante, a tratti sconvolgente. Fa riflettere, addolora, ma lascia ancora intatto quel sentimento di dignità tipico delle donne che vogliono essere prevaricate da uomini che, alla fine, dimostrano soltanto la loro profonda debolezza.

Un piccolo gioiello, da leggere pensando all'autrice (che è morta davvero di tubercolosi) e al suo amore, che è finito davvero così.

"Ora mi auguri di essere felice, e sono certa che saresti persino capace di cercarmi un marito o un amante per consolarmi. Ma lasciami: non puoi starmi vicino. Lasciami soffrire, lasciami guarire, lasciami sola. Non pensare che offrirmi l'amicizia per rimpiazzare l'amore possa consolarmi; forse mi farà piacere quando non soffrirò più. Ma ora sto male; e quando sto male, mi allontano senza voltarmi indietro. Non chiedermi di girarmi e di guardarti, non seguirmi con lo sguardo da lontano. Lasciami sola."

Hauteville
Hauteville2
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