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Sarà vero che il tempo mette a posto ogni cosa? Di certo sta accadendo per la memoria di Mario Tobino, medico psichiatra e grande scrittore del ‘900 italiano che si oppose fortemente alla legge Basaglia (13 maggio 1978) che chiuse i manicomi liberando i malati. Tobino ammoniva dalle sicure imminenti conseguenze: non fu ascoltato e gli ex ammalati finirono con il gravare sulle famiglie più che sulle strutture socio-assistenziali mentre i manicomi liberati finirono in rovina o diventarono hotel cinque stelle come a Venezia.
Nello “Spedale de’ Pazzi” di Maggiano a Lucca nato nel 1773 Mario Tobino lavorò dal 1941 al 1980 e li i “pazzi” giocavano a dama su scacchiere improvvisate, coltivavano, tessevano, cucinavano, creavano presepi e partecipavano a concorsi. Purtroppo, talvolta gli uomini non sono da liberare poiché poi la società li respinge di nuovo e nasce così l’impressione che il manicomio li proteggeva in una condizione di umanità.
Ma come spesso succede in Italia a chi critica giustamente alcune scelte istituzionali, il suo interesse per i manicomi venne male interpretato, come una difesa dei “privilegi della casta medica”. Fu attaccato dalla politica, e quasi dimenticato. Lui stesso scrive (Diario 1 settembre 1950) a riguardo della stanza dove lavorava e dove durante la guerra accoglieva i rifugiati: ".... in momenti d’invasione nemica-straniera ho ospitato, dato da mangiare a non so quante persone, che, essendo italiane, ora naturalmente non se ne ricordano più, e, se loro conviene, dichiarano il contrario, che invece di sostentarle le pugnalai".
Adesso la “Fondazione Mario Tobino” ha riaperto il vecchio manicomio abbandonato e il FAI, Fondo Ambiente Italiano, ne ha fatto un “Luogo del Cuore”, fruibile dal pubblico e sede di mostre ed eventi culturali. In questo ospedale Tobino ha lavorato, e abitato per quarant'anni nella “Casa dei Medici”, dove aveva una sua camera-studio. E qui ha ambientato i suoi racconti più noti.

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Le libere donne di Magliano, pubblicato da Vallecchi nel 1953, non è propriamente che un romanzo, ma assume la forma di un diario, anzi verrebbe di dire una sorta di insieme di "cartelle cliniche", nelle quali uno psichiatra, protagonista, voce narrante, in suggestivi capitoletti, presenta e descrive le “matte” ospiti del manicomio di Maggiano, a Lucca.

Nel racconto sono narrate le giornate nell’istituto, con attimi di condivisione, lunghi momenti di pazienza, ore di attesa, situazioni di difficile spiegazione, e costante ricerca di una diagnosi che si riconosce fallita in partenza. E’ descritto un insieme di figure, di individui che vivono tra le stesse mura, nel sereno verde della campagna toscana ma sull’orlo di un baratro buio e profondo.

Ma chi sono queste “Libere donne di Magliano”? Tutte le protagoniste, donne che sono libere di essere se stesse solo nella gabbia delle mura che le circonda: ragazze, fanciulle, signore, giovani, anziane, semplicemente donne rinchiuse in un manicomio. Ma anche infermiere e suore. Tutte provengono da mondi e percorsi diversissimi e qui a Magliano si incontrano, si fondono condividendo ogni aspetto della vita quotidiana: comunione degli spazi, condivisone delle esperienze e dei problemi.

Vengono così raccontatati i personaggi più disparati: l’agitata ed erotica signora Maresca, la Berlucchi depressa a tal punto da sentirsi colpevole di tutti i mali del mondo, la tisica Sbisà malata nel corpo e nell’anima, la bellissima signorina Belaglia, Lella altruista e ottimista, sicura di liberarsi quanto prima dalla follia. Ma anche suor Giacinta, generosa e coraggiosa, e suor Maria Concetta, donna bellissima che alla fine del racconto abbandonerà i voti.

Il libro che consacrò Mario Tobino alla ribalta letteraria nazionale è il risultato della rielaborazione di un'esperienza di vita e di lavoro in qualità di medico psichiatra. L'intento, in un periodo in cui la legge Basaglia era ancora lontana, non fu tanto quello di denunciare le condizioni di vita all'interno dei manicomi, quanto quello di dimostrare l'umanità insita nella persona malata di mente e l'amore che ai matti si può dare per arrivare poi a pensare di poter garantire loro una miglior cura.

 “Scrissi questo libro per dimostrare che i matti sono creature degne d’amore, il mio scopo fu ottenere che i malati fossero trattati meglio, meglio nutriti, meglio vestiti, si avesse maggiore sollecitudine per la loro vista spirituale, per la loro libertà”.

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Se nelle “Libere donne di Magliano” del 1953 l’autore procedeva per fogli di diario, quasi cartelle cliniche e referti, a distanza di 20 anni, nel 1972, Mario Tobino pubblica “Per le antiche scale”, utilizzando un linguaggio nuovo, più ricco, dove senza alcun dubbio intervengono l’esperienza maturata e le conoscenze scientifiche acquisite. Mantiene comunque la sua più grande qualità narrativa: un tocco leggero che conferisce anche alle situazioni più realistiche un’aria di incanto, una cadenza intima e musicale.
Il romanzo è composto da venti racconti che narrano la storia dei pazienti del manicomio di Maggiano, affidati alle cure del dottor Anselmo, medico particolarmente sensibile e vicino ai pazienti affetti affette dalle malattie mentali più disparate, che vengono trattati come se avessero solo momentaneamente smarrito il lume della ragione.
Prima dell’arrivo di Anselmo nel manicomio lavorava il brillante dottor Bonaccorsi, e proprio a lui è dedicato il primo racconto del libro “Dentro la cerchia delle mura”, un lungo flashback che introduce a tutto il lavoro a seguire. Da questo primo capitolo è tratto il film del 1975 “Per le antiche scale” diretto da Mauro Bolognini con interpreti Marcello Mastroianni, Barbara Bouchet, Françoise Fabian, Lucia Bosè, Adriana Asti; splendide musiche di Ennio Morricone.
Conclusa questa parte, ogni capitolo successivo del romanzo coincide con la storia di uno dei pazienti, che finiscono sempre per stupire il dottor Anselmo e per insegnargli nuove lezioni sulla vita, sull’amore, sull’affetto e sui sentimenti in generale. Gli ospiti del manicomio, di fatto, sono i veri protagonisti del romanzo, in quanto sono le loro storie che permettono ad Anselmo – e al lettore – di pensare a come essere “pazzi” non significhi non provare gioie, dolori, bisogno d’affetto, rabbia, paura, ma di come piuttosto questi sentimenti vengano espressi in maniera diversa e poco comprensibile.
Per le antiche scale rimane comunque un romanzo interessante ed intrigante che affascina il lettore. Il registro lessicale è facilmente accessibile e anche la lettura procede abbastanza speditamente. Tematiche complesse come quelle affrontate nel romanzo vengono trattate da Tobino con chiarezza e delicatezza e l’autore riesce a trasmettere a chi legge le sensazioni e le angosce di Anselmo, mantenendo alta l’attenzione del lettore fino alla fine di ogni capitolo e svelando un mondo che appare solitamente lontano e difficile da capire.
Questo testo è consigliabile a chiunque, un romanzo tra i più toccanti, commoventi e delicati mai scritti sulla malattia mentale

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