dott. Giuseppe Di Marco
Specialista in malattie respiratorie
Diagnosi e cura delle malattie allergiche
"II vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui s'accorgono solo poche anime sensibili, come i raffreddati del fieno, che starnutano per pollini di fiori d'altre terre".
Italo Calvino - Marcovaldo - 1963
FRANZ KAFKA
LA MALATTIA TUBERCOLARE COMPAGNA DI VITA
Descrivendo la sua famiglia nei "Diari", Franz Kafka pone in evidenza le differenze che lo separano dal padre e dagli antenati paterni: uomini forti, decisi, concreti. Il padre, diventato celebre per la famosa lettera scrittagli dal figlio e mai consegnata, viene dipinto come un borghese grezzo, insensibile e arricchito ma soprattutto sovrabbondante di forza vitale rispetto al figlio, timido e introverso.
Kafka viene accusato dal padre di inedia, di mancanza di volontà. Accuse che nella Lettera, per certi versi, Franz Kafka sembra condividere soprattutto quando affronta la sua incapacità di sposarsi. L'assenza di impegno, incomprensibile per il padre, poteva derivare dall’idea dell’irrazionalità del vivere che affliggeva Franz.
Tuttavia questo suo atteggiamento apatico o di separazione dalla vita doveva necessariamente trovare una giustificazione, un alibi.
Kafka sembra trovare così una via di fuga nella malattia.
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Probabilmente per Kafka la malattia divenne la ragione che giustificava, o almeno cercava di farlo, l’assenza di forza vitale e che gli permetteva di potersi creare uno spazio entro il quale privilegiare le attività che preferiva come lo scrivere.
I sintomi che gli avvelenarono la vita, in base a quanto lui stesso racconta nei suoi Diari, furono dapprima insonnia, acufeni, astenia e disturbi neurovegetativi; poi quelli polmonari, Dopo pochi anni fu costretto al ricovero presso una casa di cura specializzata, benché poco favorevole alla medicina tradizionale, e preferendo curarsi con diete crudo-vegetariane.
Nel 1909 e nel 1913 soggiornò a Riva del Garda in una Casa di Cura raccomandata per il trattamento della neurastenia, disturbi di assimilazione, affezioni di cuore e dei polmoni. Di questa esperienza vissuta nel Sanatorium di Riva lascerà traccia in "Il cacciatore Gracco" del 1917, racconto nel quale il meraviglioso scenario del Garda viene ad essere visione di morte e di disperazione; non più i cangianti colori del verde della vegetazione, il blu del lago e il giallo dei limoni bensì la tragedia di una morte e la prigionia ultraterrena in un luogo indesiderato.
Così descrive la crisi di emottisi, era il 1917:
«Le 4 del mattino. Mi sveglio, mi meraviglio della strana quantità di saliva in bocca, la sputo ma poi decido di accendere la luce. E così comincia. E pensai che non dovesse smettere più. Come facevo a tappare la sorgente se non l’avevo aperta. Ecco, dunque la situazione di questa malattia spirituale, la tubercolosi»
I diari - 1917/1920
Franz Kafka
Come nota finale mi pare giusto ricordare che, per quanto biograficamente la malattia abbia segnato Kafka, essa non irrompe quasi mai nei suoi racconti così come non parla mai esplicitamente della tubercolosi.