dott. Giuseppe Di Marco
Specialista in malattie respiratorie
Diagnosi e cura delle malattie allergiche
"II vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui s'accorgono solo poche anime sensibili, come i raffreddati del fieno, che starnutano per pollini di fiori d'altre terre".
Italo Calvino - Marcovaldo - 1963
In una manciata di pagine, Kafka dipinge la figura di un medico condotto chiamato per un urgenza, costretto a affrontare un viaggio in pessime condizioni meteo per assolvere al Giuramento di Ippocrate. Siamo davanti da un uomo stanco, affaticato. Il viaggio si complica già alla partenza: è in corso una tormenta di neve, al medico era morto il cavallo a causa della fatica e del freddo e per di più la sua domestica viene aggredita dallo stalliere.
Il nostro medico condotto arriva a destinazione – arriva da un ragazzo ferito, dalla sua famiglia in angoscia. E qui partono una serie di scene oniriche, confuse, deliranti, con i cavalli sbuffanti e indomiti che grottescamente infilano la testa in due finestre e osservano il malato.
È un racconto in cui traspare tutta la fragilità della professione medica, tutta la difficoltà di assolvere al proprio dovere e tutta la fatica del doversi far carico delle sofferenze altrui, del custodire una saggezza inaccessibile ai malati e alle loro famiglie.
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Loro non ne sanno nulla e, anche se sapessero, non ci crederebbero. Scrivere ricette è facile, il difficile è farsi capire dalla gente.
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La famiglia del giovane paziente è in panico e non riesce a spiegare cosa patisca il ragazzo esanime:
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…… pronunciano tutti quei discorsi confusi che non mi fanno capire niente.
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Atteso con ansia e con speranza, dunque, si crede che il suo arrivo possa risolvere tutto come per magia.
Il medico assume i connotati di uno stregone, di un essere soprannaturale dall'intelligenza e dalle abilità fuori dal normale. Circondato da un’aura di reverenza e timore, diventa quindi un "deus ex machina".
Deve saper ripristinare la salute di partenza, deve riuscire nell’opera di cura. Non è previsto che fallisca.
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Così é la gente dalle mie parti. Pretende sempre l’impossibile dal medico …… il medico ha assunto anche il ruolo del parroco, il quale può starsene in panciolle senza responsabilità che oberino le sue giornate.
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Il medico è stato sacralizzato contro la sua volontà; ormai ha perso la lucidità, farfuglia tra sé pensieri ridicoli, senza logica. Ha paura che se non riesce venga ucciso. Una scena patetica:
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Fate di me quel che volete, pensa. Accusatemi pure, cosa ne posso io se la ferita é irrecuperabile, ormai piena di vermi? Voglio solo tornare a casa. Voglio tornare dalla mia Rosa. Chissà cosa le sarà successo nel frattempo. Violentata dal bruto stalliere, mentre io me ne stavo qui a cercare di curare un ragazzo ormai spacciato? Mi avete ingannato con una chiamata inutile.
Dal villaggio accorrono i vecchi che aiutano la famiglia a svestirlo. Davanti alla casa il coro della scuola canta:
“Svestitelo, e lui farà guarire.
E se non farà guarire, uccidetelo!
È solo un medico, è solo un medico”.
In una camera da letto dall’aria stantia, con gli sguardi accusatori dei familiari che gli trafiggono le spalle come pugnali, c’è un medico anziano, stanco e probabilmente neanche poi così motivato, sfibrato giorno dopo giorno, dal pesante lavoro fisico e mentale. Ai confini di un mondo ostile, quello della povertà e del freddo della steppa.
Un vigliacco ci appare, un ignavo di fronte al dovere morale. Eppure a metà tra il rimprovero e la compassione, non riesco a condannarlo. Combatte la morte con la sola arma che possiede: i rudimenti della medicina, una scienza imprecisa che ora vince e che ora perde. Una missione che dà luce e speranza, ma anche una responsabilità che logora chi la porta.